di
Cinzia Baldazzi (Critico letterario-giornalista-saggista)
“La violenza è una mancanza di vocabolario”
Gilles
Vigneault
«Tengo con la
mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al
parco. Mi sento male… nel senso che mi sento svenire… non solo per il dolore
fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo… per l’umiliazione… per le mille
sputate che ho ricevuto nel cervello… per lo sperma che mi sento uscire».
Così si apre la parte conclusiva del
celebre monologo Lo stupro che Franca
Rame scrisse nel 1975. «Appoggio la
testa a un albero», prosegue, «mi fanno male anche i capelli… me li tiravano per
tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia… è sporca di sangue. Alzo
il collo della giacca.. Cammino… cammino non so per quanto tempo. Senza
accorgermi, mi trovo davanti alla Questura. Appoggiata al muro del palazzo di
fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei
affrontare se entrassi ora… Sento le loro domande. Vedo le loro facce… i loro
mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso… Poi mi decido…Torno a casa… torno a casa… Li
denuncerò domani».
All’epoca, di violenza sessuale si
parlava poco: il documentario Processo
per stupro, realizzato da un collettivo formato da Rony Daopulo, Paola De Martiis, Annabella
Miscuglio, Anna Carini e Loredana Rotondo - e che per primo aprì il dibattito sul
trattamento riservato in tribunale dagli avvocati difensori alle donne vittime della
violenza - fu infatti girato nel 1979.
Franca dichiarò di essersi ispirata a una testimonianza trovata sulle pagine del
“Quotidiano Donna”. In realtà, sappiamo come fosse stata lei, in prima persona,
la sera del 9 marzo del 1973 a Milano, a subire uno stupro, quando fu caricata
su un furgone, torturata e violentata a turno da cinque uomini. Si trattò di un’”azione”
- si fa per dire - a carattere “punitivo”: i responsabili erano militanti
neofascisti, intenzionati a “fargliela pagare” per le sue idee politiche, e
scegliendo di colpirla , da gran galantuomini, nel suo essere donna. Purtroppo
non vennero mai arrestati, anche se, molti anni dopo, qualcuno facesse i loro
nomi: il reato era ormai caduto in prescrizione.
Tuttavia l’artista, scomparsa di recente,
nella storia quotidiana è riuscita obiettivamente a sconfiggere, a oltrepassare
la violenza subìta con la parola poetica, rifiutandosi davanti a tutti, con
coraggio, di sottomettersi all’obbligo del silenzio esistenziale e “politico”, per
poter raggiungere, nei fatti, lo scopo di mostrare come l’arte, su una
prospettiva che cavalchi un’onda lunga di prospettiva , divenisse più potente
degli aggressori.
Accade però che alla sopraffazione
consegua la morte, e la vittima, come rivela Giorgio Bisignano in Nell’ombra e nel dolore, alla fine si
trovi “stesa sull'erba , senza un fil di luce”, dove, senza possibilità di
alcuna posticipazione, “muore il suo mondo, nell'addio più triste. / Spira
l’illusione di mandorli in fiore, / d’udire cantare gli usignoli, / (…) Muore
sola e stanca nell'età più bella /Non è questo, mio Dio, ciò che avrebbe
voluto!”.
Il filosofo della scienza Gaston
Bachelard, nel secolo scorso, dichiarava: «Il martello del
fabbro forgiatore è stata la più grande conquista morale che l’uomo abbia mai
realizzato. Con il martello la violenza che distrugge è trasformata in potenza
creatrice. Dalla clava che uccide, al martello che forgia, si svolge
l’itinerario che va dalla vita degli istinti alla più grande moralità. La clava
e il martello formano le due facce parallele del male e del bene». Sono personalmente convinta - e, con me, tutti i
poeti ospitati nell’antologia Flamma
animae - di come la poesia possa svolgere le funzioni di questo martello,
come quando, ad esempio, Maria Danese nei suoi Silenzi suggerisce: “Le parole non dette / lasciate morire in gola,
/ ti corrodono, / ma ti lasciano ancora / respirare”: dunque i versi, anche se
sono metafore e non armi di “aggressione difensiva”, sono sempre meglio dei “silenzi“
che invece “diventano mortali, come “ l’indifferenza / una condanna (…), “un
chiodo arrugginito / che ti spacca il cuore”.
Il Mahatma Gandhi, alla
domanda su quali fossero le cause profonde, le radici della violenza,
rispondeva: «La ricchezza senza lavoro, il piacere senza coscienza, la
conoscenza senza carattere, il commercio senza etica, la scienza senza umanità,
il culto senza sacrificio, la politica senza princìpi».
Un panorama vasto, disseminato
di scenari orribili, come Roberto Cicconi evoca nei suoi versi È qui che vivo?: “Ma è proprio qui che
vivo?” si chiede: “Dove non c’è più il sole, / il sentimento atavico / muore
tra le parole? / Ragazzo impicca un cane / madre senza natura / si priva del
suo figlio, / dentro la spazzatura, / (…) La strage di animali, / è all’ordine
del giorno, / sotto codesti cieli, / nessuno fa ritorno”. E poi: ”Teste
decapitate, / perché sono cristiani, / rondini
ormai partite, / per non tornar domani”, mentre ”il rosso sangue cola / giunge
fino al mare, / ormai non v’è parola, / niente da perdonare!”. No, per buona
sorte, c’è ancora la tua parola, Roberto, e quella di tanti altri poeti e
artisti; come quando, nel 2013, Serena Dandini portò nei teatri di tutta Italia
il testo Ferite a morte, per “raccontare”, oltre alla tragica fine, le
storie singolari di tante vittime di femminicidio, immaginando, come dichiarò, “un
paradiso popolato da queste donne e dalla loro energia vitale. Sono mogli, ex
mogli, sorelle, figlie, fidanzate, ex fidanzate che non sono state ai patti,
che sono uscite dal solco delle regole assegnate dalla società, e che hanno
pagato con la vita questa disubbidienza”.
Con lei, mi chiedo: “E se le
vittime potessero parlare?”. Se, fra tante, una di loro volesse gridare, come in
Lucifero di Anna Collini, quando “le
lacrime scendevano a mo' di tempesta (…) / i lampi squarciavano quel corpo (…) /
la furia allargava le sue gambe / strappandole i vestiti del sereno (...) / rivoli
di sangue zampillato dall'odio / scendevano giù negli abissi / di un mondo che sta a guardare”? Un mondo
così concepito sarebbe lontano dall’amore: “su una pelle straziata / mangiata
dai lividi e da sputi (…) / scaraventato su di un / improbabile amore futuro”, proprio
mentre “guardava la sparizione delle stelle”.
Di certo appare innegabile
quanto, da sola, la pasoliniana “mancanza di richiesta di poesia”, per chi
sopravvive, sia acerrima nemica in questa lotta, senza la quale, purtroppo, non verranno le “albe chiare” di
Charles MecCharles, “scintillanti al sol della speranza, / il cui esercito per
l'eternità sconfiggerà / gli abusi, le colpe, l'ingiustizia: / saranno solo un
ricordo / in un mondo migliore” (Paura).
Questo “mondo migliore”, dove l’omosessualità sia comunemente accettata, non
verrà mai per un’altra vittima di un omicidio violento con matrice sessuale,
appunto Pierpaolo Pasolini. Confessava in prima persona: «Come uno schiavo
malato, o una bestia / vagavo per un mondo che mi era assegnato in sorte, / con
la lentezza che hanno i mostri / del fango – o della polvere – o della selva – /
strisciando sulla pancia – o su pinne / vane per la terraferma – o ali fatte di
membrane». Ma, intorno ad «argini, o massicciate, / o forse stazioni
abbandonate in fondo a città / di morti», qualcosa passò nella sua anima: come «se
in un giorno sereno si rabbuiasse il sole; / sopra il dolore della bestia affannata
/ si collocò un altro dolore, più meschino e buio, / e il mondo dei sogni
s'incrinò. / “Nessuno ti richiede più poesia!”».
L’infanzia, che per prima
conosce la violenza, rimane un àmbito nel quale è difficile parlare di violenza
nel senso proprio del termine, perché il fenomeno è, come dire, ulteriore. “Non
credo di averlo compreso”, conferma Bruna Cicala in Innocenza: “non era quanto promesso / nel soffio d'amore di un
attimo effimero. / Nascosto da manti d'orrore / il dio più feroce / attendeva
il suo urlo / più infame. / Dio degli infelici, dimmi, / perché mai sono nato?
/ lettera al dio degli universi da un bambino di ogni dove: sgozzato, annegato,
massacrato, / offeso, usato, / dimenticato”.
Tra le piaghe delle violenze
oggi più dilaganti vanno considerate e affrontate anche quelle causate in
primis da dispute e supremazie religiose, le quali, senza intervallo,
trascinano con loro guerre e terrorismo finalizzati a imposizioni di potere,
conquiste territoriali, pulizie etniche. Accogliendo le parole del filosofo
francese del ‘900 Gustave Thibon, ed essendo io cristiana-cattolica, vi invito
a riflettere su alcune sue considerazioni neotestamentarie: «Vi è dunque nel
Vangelo un capovolgimento di valori. Cristo vi dice: ‘È stato detto... ma io vi
dico...’. Sembra esservi una sfida permanente alle leggi di natura, aggravate
dal disordine del peccato, una sorta di anticipazione della vita eterna, sicché
San Paolo non esita a parlare di "follia divina"».
Ma, precisa Thibon: «La sola
violenza che sembri permessa e voluta dal Vangelo è quella che l'uomo esercita
sopra sé stesso per dominare le sue passioni e trionfare sul peccato. E non a
caso, mentre la parola ‘violenza’ è piuttosto peggiorativa, l'espressione ‘farsi
violenza’ s'intende quasi sempre in senso positivo. In altri termini, molto
spesso si fa violenza a se stessi, specialmente quando si è in collera, per non
far violenza al prossimo»: suppongo quindi sia giusto considerare questa
“santa” violenza”, così intesa, unicamente come strumento, esercitato a
vantaggio della libertà nostra e degli altri, al fine di non nuocere ad alcuno,
poiché il cristiano lotta con se stesso per alienare, allontanare se stesso
dalla violenza delle passioni e del peccato. In tal senso, sempre secondo Thibon,
«va interpretato il testo del Vangelo “I violenti prevarranno". Non già
quelli che saranno violenti contro gli altri, ma coloro che sapranno far
violenza a sé stessi per espandere la loro vera libertà».
Tuttavia, perché la poesia
mostra sempre la capacità - oltre a celare il segreto - di comprendere il
contesto nella sua complessità contraddittoria, il nostro discorso non può non
condurre al più grande atto di violenza e tradimento compiuto nella storia
della nostra civiltà: il martirio, e poi la morte, del Dio fatto uomo.
Tra le righe di Trenta denari di Paola Bosca, leggiamo:
“Trenta denari / il prezzo dei vostri pensieri all'ombra di un cespuglio di
croci / dietro di esse i vuoti di preghiere / imbrattate di nervi carne e
sangue. / Giochi spericolati / avidi di orgasmi / fragili desideri in selvaggia
parata / celano chimere agognate nelle aride notti della civetta / tra fruscii
d’ali sogni frantumati / in un pozzo profondo millenni. / Litanie tracciano
elucubrazioni chiaro scure / rivoli di plasma fluiscono dai pugni chiusi dei
rei confessi senza torto”.
Su tutto, incombe ancora la
somma dei ”trenta denari / testa o croce / il riscatto sul banco della speranza
/ si svela così il prezzo del peccato / punta sul nero / punta sul rosso / contro
un Dio vittorioso di spada impugnata / di vita ingiusta / morte crocifissa muta
di grazia / confortata da mani giunte in rosario / si giustifica così ogni
vostro misfatto”. Ma quanto compiuto dal responsabile dell’azione più immane e
sciagurata nella storia dell’uomo, diviene potenziale simbolo di riscatto: “Alzate
dunque il calice /alleviate le vostre malefatte”, e quindi, finalmente, “gettate
trenta denari nell'obolo della penitenza / e così sia la vostra pace eterna / che il
sogghigno del demone si spenga nella carezza del vero Padreterno”.
La
lavorazione in tipografia di questo libro, dedicato a componimenti poetici
“contro ogni forma di abuso”, è venuta a coincidere in maniera inquietante con
gli atti terroristici nella città di Parigi del 13 novembre.
La violenza e
la sopraffazione del terrorismo sono - anche - una delle tante forme di abuso:
forse le più odiose, rivolte come sono a vittime inconsapevoli, estranee,
ignare. Parliamo di “abuso” quasi che l’uccisione di gente comune significasse,
da parte dei carnefici, “abusare”, “approfittare” della fiducia nel mondo,
dell’esposizione positiva verso la vita, del voler vivere quotidiano che le
ignare vittime dimostrano fino a un istante prima della loro morte efferata.
Anche alle
donne e agli uomini morti a Parigi è dedicata questa raccolta di poesie, che
vede la luce in occasione della “Giornata internazionale per l'eliminazione
della violenza contro le donne” celebrata il 25 novembre.
info: ass.iruomridellanima@gmail.com
cell. direzione 347.8432586
Una antologia densa di significati, sublimati da una introduzione che nobilita e ci onora, ci fa riflettere oltre ogni lettura. Grazie a tutti.
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